Prendendo spunto dal quesito posto da Davide sulla Gita (così com’è) di Prabhupada vorrei dire la mia opinione estendendo l’argomento alle varie interpretazioni, traduzioni e commenti che sono state fatte di questo Sacro Libro: la Bagavad Gita, appunto; poiché è un argomento che mi interessa da svariati anni. E avendo studiato diverse traduzioni e commenti nel corso degli anni, mi permetto di dire la mia a tal proposito. Personalmente credo che ogni Guru abbia dato una interpretazione della Gita in linea con il proprio background culturale e spirituale; tale è la conclusione a cui sono giunto. Nello specifico, Prabhupada tende a tradurre portando l’attenzione, pressocchè esclusivamente, sul Bhakti yoga; Yogananda fa altrettanto per quanto riguarda il Dhyana yoga. Quindi, uno dei due ha tradotto male? Niente affatto! Infatti, non vi è una maniera univoca di tradurre il sanscrito, soprattutto perché alcune parole hanno contemporaneamente diversi significati; per cui è naurale, in parte, interpretare.
Per quanto riguarda le traduzioni della Bhagavad Gita, linea generale, ho notato che ognuno tende a portare un po’ l’ acqua al proprio mulino(in senso bonario s’intende); e né Prabhupada né Yogananda fanno eccezione. Del resto, se vogliamo proprio dirla, anche il commento ai Vangeli di Yogananda è un po’ forzato in alcuni punti, a mio avviso. Ad esempio, a proposito del commento ai passi del Vangelo che riguardano il rito Eucaristico, Yogananda dà interpretazioni simboliche interessanti, ma senza considerare il fatto che Gesù, durante l’ultima cena, voleva effettivamente istituire un rito (appunto quello Eucaristico) in cui il pane (l’ostia oggi) si trasforma realmente in Cristo stesso. In linea generale, trovo che Yogananda sia più a suo agio nei confronti della Bhagavad Gita che con i Vangeli. Pur essendo i suoi commenti sempre perle di conoscenza spirituale. In ogni modo, continuando il discorso sulla Bhagavad Gita vi do’ un esempio di come le traduzioni possano differire , e anche di parecchio:
Ad esempio il verso 44 del II canto, viene da Prabhupada così tradotto: “Nella mente di coloro che sono troppo attaccati al piacere dei sensi e alla ricchezza materiale, e sono sviati da questi desideri, la risoluta determinazione a servire con devozione il Signore Supremo non trova posto.”
Lo stesso verso tradotto da Yogananda: “Le persone attaccate ai piaceri dei sensi non possono condeguire l’equilibrio mentale nella meditazione, e quindi non possono ottenere l’unione con Dio nell’estasi (samadhi)”
Altra traduzione: “coloro che ricercano il piacere dei sensi e aspirano al potere seguono le loro parole: essi non ricercano l’unione con il tutto.”
Altro esempio:
verso 48 del II canto tradotto da Prabhupada: ”Compi il tuo dovere con equilibrio, o Arjuna, senza attaccamento al successo o al fallimento. Tale equanimità si chiama yoga.”
Stesso verso 48 del II canto tradotto da Yogananda: “O dhananjaya, rimanendo immerso nello yoga (unione con lo Spirito attraverso la meditazione) compi tutte le azioni abbandonando l’attaccamento (ai loro frutti). Rimanendo indifferente al successo e al fallimento (mentre agisci). L’equanimità mentale durante tutti gli stati d’attività (risultanti in successo o fallimento) è chiamata yoga.”
altra traduzione: “compi le tue azioni, o Arjuna, stando ben fermo nello yoga, avendo abbandonato l’attaccamento. Sii uguale nel successo e nell’insuccesso. Lo yoga, si dice, è uguaglianza.”
E si possono trovare traduzioni ancora differenti!
Come possiamo aver notato, confrontando le traduzioni di Prabhupada e di Yogananda, l’uno pone l’accento sul servizio devozionale offerto a Dio, l’altro pone l’accento sulla meditazione.
L’uno ha ragione l’altro torto? Io non lo credo, paradossalmente.
La conclusione che traggo è che per vedere il “vero” nella Bagavad Gita , è necessario leggere numerose traduzioni, non solo quelle di Prabhupada e Yogananda, rilevare i punti in comune ed attenersi a quelli, in linea generale.
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