95: Il settimo giorno
Quando al sorgere del sole i guerrieri si riaffacciarono sul campo di Kurukshetra, realizzarono cosa erano stati capaci di fare il giorno prima. Le vittime erano state molte decine di migliaia.
Quella mattina ambedue gli eserciti si disposero in formazioni difficilissime da penetrare.
E l'inizio della giornata fu testimone di duelli fra i maharatha più celebri: Drona contro Virata e Drupada, Asvatthama contro Shikhandi, Duryodhana contro Drishtadyumna, Nakula e Sahadeva contro lo zio Shalya; Vinda e Anuvinda tentarono di fronteggiare il figlio di Indra, e Bhima fu affrontato da Kritavarma; Abhimanyu si scontrò con Citrasena, Vikarna e Dusshasana, mentre Bhagadatta tentò di frenare l'irruenza di Ghatotkacha; Satyaki si ritrovò a lottare con il rakshasa Alambusha.
Le prime battute furono davvero promettenti per quei guerrieri che non temevano la morte e che amavano ammirare ogni prodigio di arte marziale.
Non lontano da Arjuna c'era la grande armata dei Trigarta. Così quest'ultimo disse a Krishna:
"Amico mio, lì comincia il vasto esercito di Susharma, che è sempre stato un nostro nemico. Guida il carro in quella direzione, affinchè io possa annientarlo."
Facendo sentire il suono di Gandiva, Arjunainvocò l'arma chiamata aindra e da una singola freccia ne scaturirono a migliaia; in pochi secondi una tempesta di frecce ruppe la barriera difensiva e diffuse il terrore. I soldati fuggirono da Bhishma per chiedere protezione. Vedendo Susharma impotente contro Arjuna, il figlio di Shantanu si precipitò in difesa dei Trigarta e il favoloso duello riprese. Ma Duryodhana, che temeva per la vita di Bhishma, non era affatto contento di quei duelli, e ordinò di portargli soccorso.
Virata, che aveva già perso due figli in quella battaglia, quel giorno ne pianse un terzo: mentre si trovava impegnato in un duello contro Drona, il suo carro era stato distrutto e il figlio Shankha era corso in suo aiuto. Ma proprio mentre Virata saliva sul veicolo da guerra, una formidabile freccia dell'acarya aveva colpito il figlio in pieno petto, penetrandolo fino al cuore. Disperato per la perdita dei suoi tre figli, questi tentò di vendicarsi, ma nulla potè contro lo strapotere guerriero del brahmana.
Gravemente ferito alla fronte da Shikhandi, Asvatthama reagì con furia, uccidendogli l'auriga e i cavalli, e tempestandolo di frecce. Il prode Panchala, a terra e senza alcuna protezione, si difendeva facendo roteare la spada, tagliando a mezz'aria le armi che gli venivano scagliate contro, mentre si avvicinava sempre di più al suo avversario. Schivando tutto con la leggerezza di un'aquila, Shikhandi sembrava la regina dell'aria mentre è sul punto di afferrare una preda. Ma d'un tratto fu messo in difficoltà; Satyaki, che aveva appena completato la distruzione dell'armata di Alambusha, accorse e lo prese nella protezione del suo carro.
Più in là Duryodhana non riusciva a contrastare Drishtadyumna, proprio mentre Kritavarma fuggiva dal cospetto di Bhima. Questi si era appena ritirato che Bhima si concentrò sulla sua attività preferita: il massacro dell'esercito degli elefanti.
Anche quel giorno gli alleati dei Kurava si prodigarono con tutte le loro forze al fine di fronteggiare valorosamente i Pandava, ma non c'era proprio nulla da fare. Così come il mare ingoia le acque del Gange e ne dissolve il sapore dolce, alla stessa maniera la bravura dei Pandava dissipava la forza Kurava. Non si poteva rimproverare niente a nessuno perchè ognuno si stava impegnando al massimo delle proprie capacità, senza pensare a mantenere la propria incolumità.
Ma Duryodhana continuava a essere ossessionato dalla stessa domanda: perchè stava perdendo? Eppure la risposta, per quanto fosse così semplice e logica, non riusciva a farsi strada nella sua mente.
Uno dei duelli più belli della giornata fu quello tra Bhagadatta che, sul suo elefante, splendeva come un secondo Indra e Ghatotkacha. Quella volta però fu il figlio di Bhima a doversi ritirare.
Intanto Sahadeva era riuscito a ferire gravemente Shalya, che cadde svenuto sul suo carro.
Venne mezzogiorno, l'ora in cui il sole culmina.
Yudhisthira combatteva come un cobra infuriato contro Shrutayu, costringendo il celebre guerriero a ritirarsi. Il maggiore dei Pandava quel giorno fu irriconoscibile, non sembrava più la stessa persona gentile di sempre: quel giorno combattè come un ossesso.
Kripa fu sconfitto da Chekitana, mentre Abhimanyu risparmiò di proposito tre dei figli di Dritarashtra e fissò la sua attenzione su Bhishma. Arjuna, che si era accorto dei propositi del figlio, disse a Krishna:
"Oggi il nostro giovane leone darà del filo da torcere al figlio di Ganga; per un pò non dovremo stare in ansia a causa sua. Possiamo andare da un'altra parte."
Così il Pandava perseguitò ancora i Trigarta che, spaventati e demoralizzati, cercarono rifugio della fuga.
E ad un certo momento la situazione volse in un modo tale che i cinque fratelli Pandava si ritrovarono uniti di fronte a Bhishma: fu una visione da favola, un combattimento come si sarebbe potuto ammirare solo sui pianeti celesti. Molti accorsero ad aiutare Bhishma il quale oltre a dover tenere testa ai fratelli aveva di fronte anche Shikhandi, e questo lo rendeva impacciato. Shalya allora intercettò il Panchala e lo trascinò via dalla scena. Da ogni parte si accesero duelli furibondi, e le armi guizzarono con grande violenza.
Ma anche quel giorno terminò. I Pandava avevano ottenuto grandi successi, specialmente nei duelli personali, ma avevano anche perso molti soldati per opera di Bhishma.
Shikhandi era indignato: avrebbe voluto combattere contro l'anziano, ma ogni volta che provava a lanciargli la sfida, questi si girava di spalle e non reagiva.
96: L'ottavo giorno
E il sole sorse per l'ottava volta su quella distesa di uomini, animali e mezzi riuniti a Kurukshetra.
Dopo aver compiuto le sue devozioni mattutine, Bhishma si soffermò a riflettere su ciò che era successo il giorno precedente e credette giusto organizzare l'armata secondo la urmi, l'oceano. Tale formazione permetteva continui dilagamenti offensivi che si sarebbero potuti diffondere in ogni parte, proprio alla stregua delle onde del mare.
Yudhisthira, che aveva osservato attentamente il formidabile schieramento nemico, chiese ai suoi generali di rispondere con la shringataka. Praticamente si trattava di molteplici corni che avrebbero potuto penetrare facilmente la formazione nemica.
Le ostilità ebbero inizio.
Deciso a non permettere la solita carneficina giornaliera, Bhima si pose davanti al vecchio Bhishma e non si arrese finchè non gli ebbe ucciso l'auriga e distrutto il carro. Ma mentre continuava a combattere contro il nonno, proprio nelle vicinanze scorse con la coda dell'occhio otto figli di Dritarashtra abbastanza vicini l'uno all'altro. Ruggendo di gioia, li attaccò con furia tremenda e dopo aspri duelli li uccise tutti. Duryodhana, che era lì da presso, dovette assistere alla scena senza poter intervenire: come in un incubo gli tornò in mente la voce del Pandava che lontana negli anni giurava:
"Ucciderò te e tutti i tuoi fratelli. Che io possa perdere i miei meriti spirituali se non manterrò la promessa."
Ora, a vederlo combattere con quell'ardore, si capiva che Bhima aveva tutta l'intenzione di mettere in atto i suoi propositi. E di nuovo Duryodhana ebbe paura per la propria vita e per quella dei suoi fratelli. Ma quando rivelò le sue preoccupazioni al maestro, questi gli rispose con gli ammonimenti di sempre. Così, con le immagini di quell'ennesima tragedia impresse nella mente, riprese a combattere con grande tristezza.
Giunse il mezzogiorno su quell'immensa carneficina.
Quella volta furono Nakula e Sahadeva a destare l'ammirazione di tutti, combattendo con le spade sguainate l'uno a fianco dell'altro. Quel giorno furono tremendi. Tale era la loro velocità che riusciva difficile a chiunque determinare dove fossero: talvolta li si vedeva correre sul terreno roteando le armi, altre volte in aria come se volassero, oppure sui tetti dei carri mentre con incredibile velocità decimavano i loro avversari. Ma bisogna riconoscere che Bhishma e Drona non furono da meno ai gemelli e a Bhima.
Purtroppo nelle prime ore del pomeriggio fu Arjuna a subire una grave perdita: il figlio Iravan, nato da Ulupi durante il suo tirtha-yatra, così valoroso da poter essere paragonato ad Abhimanyu, dopo aver messo Shakuni in fuga, cadde in un aspro combattimento per mano di Alambusha.
E i Kurava, trascinati dalle ali dell'entusiasmo per il successo ottenuto dal rakshasa, sferrarono un veemente attacco che travolse l'armata dei Pandava. Fu Ghatotkacha che, furibondo per la morte del cugino, salvò la situazione. Giocando con i nemici come un gatto fa col topo, dapprima sconfisse Duryodhana, poi causò al suo esercito enormi perdite e respinse l'offensiva. E ancora ebbe diversi figli di Dritarashtra sotto il suo potere e avrebbe potuto ucciderli, ma non lo fece per rispetto verso il giuramento del padre. Come sopracitato, Duryodhana si era ritrovato in balia del rakshasa ed erano dovuti intervenire in forze per soccorrerlo. Ma quando Ghatotkacha aveva visto così tanti eroi davanti a sè non solo non si era spaventato, ma aveva sentito crescere dentro di sè l'eccitazione per il combattimento. Ora le sue grida rimbombavano ovunque: era come se milioni di spettri sanguinari avessero invaso il campo e stessero sterminando i Kurava.
Yudhisthira riuscì a distinguere la voce del nipote e fece chiamare Bhima.
"Fratello, ascolta, questo è Ghatotkacha. Non c'è dubbio che in questo momento è tutt'altro che in difficoltà. Sarà sicuramente impegnato a uccidere migliaia dei nostri nemici. Ma è meglio essere prudenti. Giacchè Arjuna è occupato a difendere i figli di Drupada da Bhishma, ora come ora nessun altro all'infuori di te può essergli veramente utile; va tu da lui, quindi, e sostienilo nel combattimento."
Bhima raggiunse il figlio con grande velocità.
Sotto i loro colpi possenti sembrava che l'intera armata Kurava fosse sul punto di essere schiacciata, tanto che anche i più coraggiosi dovevano cercare scampo nella fuga. Duryodhana, chiumante di rabbia, incitò il suo auriga a dirigersi verso Bhima, ma non ci mise molto a realizzare che il Pandava era troppo forte; così nel momento in cui lo vide precipitarsi contro di lui con la mazza sollevata e con tutta l'intenzione di schiacciarlo sotto i suoi colpi possenti, fuggì via precipitosamente. Appena i soldati videro il re scappare, lo imitarono. Da soli Bhima e Ghatotkacha erano riusciti a mettere in fuga una buona parte dell'esercito nemico.
Duryodhana corse da Bhishma.
"Bhima e il figlio stanno causando una vera devastazione; non si riesce a contenerli. Vieni tu e proteggi le nostre truppe."
"Kurava, purtroppo non posso venire personalmente, altrimenti Arjuna e Abhimanyu bruceranno le nostre armate in pochi minuti. Manderò Bhagadatta a fronteggiare il figlio di Vayu."
E ancora l'anziano monarca e il suo elefante Supratika accorsero e riordinarono le truppe in fuga. Poi si scagliarono contro quei due nemici indiavolati.
Il monarca di Dasharna, che pure cavalcava un enorme e possente elefante, tentò di impedire loro l'avanzata, ma dovette battere in ritirata: Supratika, con centinaia di ferite e la testa inondata di sangue, non si curava del dolore, anzi più veniva bersagliato più la sua furia distruttrice aumentava. Sentendo i barriti furibondi dell'animale e il guizzo delle armi, Arjuna accorse e il putiferio aumentò. Fu allora che il figlio di Indra apprese la notizia della morte di Iravan.
"Così tanti morti solo a causa dell'invidia di Duryodhana," disse con voce triste a Krishna, "Vidura lo aveva predetto, lui sapeva chiaramente cosa sarebbe successo. Per questo ha sempre cercato la maniera di evitare tutto ciò. In una settimana le nostre armate, che pure erano così imponenti, si sono assottigliate di molto. Quanti morti, quanto sangue."
La notizia della morte del nipote Iravan arrivò anche a Bhima. La sua rabbia divampò. Cercò altri figli di Dritarashtra da immolare sull'altare della vendetta e soltanto quando nel pomeriggio riuscì ad ucciderne altri otto sembrò acquietarsi un pò. Sapendo ormai bene che il raptus di follia distruttiva che lo aveva preso in quel momento non si sarebbe del tutto placato fino a che non avesse sterminato qualsiasi uomo o oggetto gli fosse capitato a tiro, i Kurava persero ogni voglia di continuare la battaglia e si ritirarono.
Scese l'oscurità.
I Pandava avevano subito pesanti perdite, ma quelli che avevano avuto la peggio erano stati senz'altro i Kurava.
97: Nella tenda di Bhishma
Ciò che era successo durante la giornata era insostenibile per Duryodhana. L'arroganza dei primi giorni era scomparsa: sempre più stava constatando che non solo la battaglia non si sarebbe conclusa tanto velocemente, cosa di cui invece era sempre stato sicuro, ma al contrario i Pandava sembravano vicini a un'inesorabile vittoria. L'unico che potesse risollevarlo dal suo dolore, pensò, era Karna. Andò a trovarlo nella sua tenda e gli raccontò tutto.
"Le nostre armate sono guidate dai più grandi generali che esistano al mondo," gli disse Duryodhana sconsolato, "ma essi, Drona, Bhishma, Shalya e Kripa si rifiutano di uccidere i Pandava. E' vero che ogni giorno fanno strage di soldati, ma a che serve? Bhishma assottiglia le loro file e Arjuna fa lo stesso con le nostre, così la situazione non si sblocca. Per vincere questa guerra dobbiamo uccidere i Pandava, non i loro soldati."
"So come stanno andando le cose," ribattè Karna, "e vorrei fare qualcosa per vederti vittorioso e felice, ma al momento non posso. Finchè Bhishma vivrà io non interverrò in questa guerra. Tuttavia, se non sei soddisfatto della sua condotta, chiedigli di ritirarsi, per permettere a me di scendere sul campo."
Rincuorato da quel discorso, Duryodhana decise di andare a parlare con l'anziano. Ma questi, ferito dalle veementi parole del re Kurava, controllò a fatica la rabbia.
"Io non potrei uccidere i Pandava neanche se lo volessi," ribattè con tono forzatamente gentile. "Sono protetti da Krishna, e dunque neanche i deva possono nulla contro di loro; ma non vedi cosa è in grado di fare Arjuna? Comunque domani vedrai cosa saprò fare io."
Malgrado quella promessa, quando tornò nella tenda Duryodhana non si sentiva ancora soddisfatto. Solo Karna aveva la voglia e la capacità di battersi contro i Pandava. Ma questi non poteva combattere a causa di Bhishma. Sapeva già cosa sarebbe successo l'indomani: l'anziano guerriero avrebbe causato un'enorme carneficina ma i Pandava sarebbero rimasti in vita. Allora, a cosa sarebbe servito?
Ma se Duryodhana era triste, anche Karna lo era. Sentiva che si stava avvicinando il giorno in cui avrebbe dovuto combattere contro i fratelli. Mentre rifletteva gli tornò in mente la forma universale del Signore, così con quella visione davanti agli occhi riuscì un pò alla volta a calmare quel turbine di pensieri e si addormentò.
98: Il nono giorno
Quella mattina Duryodhana sembrava particolarmente eccitato.
"Questo è il giorno della nostra vittoria," disse al fratello Dusshasana. "Il nostro Bhishma ieri notte mi ha assicurato che oggi avrebbe fatto meraviglie. Noi dobbiamo proteggerlo, specialmente da Shikhandi. Va, dunque, e disponi una massiccia protezione intorno a lui."
Di prima mattina Bhishma organizzò l'esercito nella formazione chiamata sarvato-bhadra, impenetrabile da qualsiasi direzione. Dopo aver preso atto delle sue iniziative, i Pandava sistemarono le loro truppe.
E per la nona volta i combattimenti cominciarono.
Colui che sferrò il primo attacco fu Abhimanyu. Nonostante la formazione nemica fosse praticamente impenetrabile per chiunque, il ragazzo in pochi secondi vi si insinuò e seminò il panico. Abhimanyu era un grande devoto del Signore ed era talmente elevato in spiritualità che un'aureola di luce circondava costantemente il suo bel viso.
Drona e Kripa e Jayadratha e Asvatthama cercarono di fermarlo, ma non ci riuscirono.
Allora Bhishma gli mandò contro il potente Alambusha, ma i cinque figli di Draupadi accorsero e aiutarono il fratello. Quella volta le arti magiche rakshasa non poterono dargli la vittoria, così dopo breve tempo anche Alambusha dovette ritirarsi.
Essendo stato spettatore di quegli incredibili prodigi, Bhishma stesso accorse, ma neanch'egli potè fermare quel giovane che sul campo di battaglia sembrava possedere una formidabile combinazione tra le capacità di Krishna e quelle di Arjuna. Abhimanyu era veramente inarrestabile.
Numerosissimi furono i duelli diretti che si combatterono su tutto il campo. Kripa e Asvatthama erano appena stati sconfitti da Satyaki, quando venne in loro soccorso Drona: l'impatto tra i due guerrieri ebbe lo stesso effetto di uno scontro fra due pianeti. L'arrivo di Arjuna non fece che rendere la mischia ancora più furibonda.
A Duryodhana però questi duelli diretti non piacevano. Aveva paura che Shikhandi incontrasse Bhishma, così come temeva Drishtadyumna che era nato con il compito di uccidere Drona.
Ma quella mattina fu Arjuna a incontrare il maestro. Poi il Pandava si scagliò contro i Trigarta, i quali dovettero abbandonare precipitosamente la scena. Al pari del fratello, anche Yudhisthira e Bhima ebbero la loro parte in quell'opera di distruzione.
Ma colui che provocò il maggiore sconquasso fu senz'altro Bhishma. I Trigarta avevano trascinato via il figlio di Indra e ora sembrava che Bhishma avesse deciso di porre fine alla guerra quel giorno stesso. Nel pomeriggio la sua azione si intensificò e nessuno poteva niente contro di lui: tutti stavano lì a guardare mentre i corpi si ammucchiavano sempre di più. D'un tratto Krishna sembrò non tollerare oltre quella scena.
"Arjuna, se non intervieni subito, oggi stesso Bhishma annienterà il nostro esercito."
Ma la tiepida reazione del Pandava fece infuriare ancora una volta il divino figlio di Devaki che, con una smorfia, gettò via le redini e saltò in terra. Brandendo nella mano destra la ruota di un carro come arma, corse verso l'anziano. Vedendo il meraviglioso Krishna coi vestiti in disordine, i capelli al vento, il viso sfigurato dalla collera, tutti dissero: "Bhishma è morto."
Ma questi non sembrava per nulla preoccupato del pericolo imminente.
"Vieni, vieni, Signore Beato," gridò infatti scendendo dal carro e giungendo le mani in preghiera, "Essere Supremo e Protettore dei Tuoi devoti, io non desidero altro che ricevere la morte dalle Tue mani benedette."
Ma come era già accaduto qualche giorno addietro, Arjuna rincorse il Supremo Narayana incarnato e lo fermò, promettendogli la vita di Bhishma.
E il resto del pomeriggio fu tutto all'insegna delle gesta di Arjuna; la sua abilità si rivelò doppia di quella di Bhishma e i Kurava non riuscivano a contrastare i suoi attacchi. Poi scese la sera e il massacro fu sospeso.
Per i Pandava una cosa era chiara: finchè l'anziano guerriero fosse stato in vita, non avrebbero potuto vincere quella guerra. Come diceva Krishna, Bhishma doveva morire.
99: I Pandava da Bhishma
Quella sera Yudhisthira era senza parole. Aveva visto da vicino le terribili capacità distruttive di Bhishma e ora si sentiva più che mai costernato. Se il nonno avesse continuato a combattere in quel modo, per loro la vittoria finale sarebbe rimasta un sogno e niente più. Si rivolse a Krishna per avere consiglio.
"Bhishma non è affatto invincibile," gli rispose il Signore, "ma i tuoi fratelli che lo amano e lo rispettano non hanno il coraggio di ucciderlo. D'altra arte non possiamo continuare in questo modo: se domani stesso Arjuna non lo attaccherà determinato ad ucciderlo, io prenderò le armi e farò giustizia. Dammi il tuo consenso e distruggerò tutti i tuoi nemici."
"No, non farlo," ribattè Yudhisthira. "Non voglio che il tuo nome rimanga macchiato dall'onta di aver trasgredito a una promessa così importante. Dobbiamo trovare un'altra soluzione."
Per un pò il figlio di Pandu rimase in silenzio.
"Bhishma non è contento di dover combattere questa guerra," riprese poi, "perchè Duryodhana è malvagio e non ha alcun riguardo per la moralità e la virtù. Io so che odia questa guerra, che non vuole viverla fino in fondo, e che vorrebbe morire. Ma è pur vero che, a meno che non sia egli stesso a decidere di lasciare il suo corpo, nessuno potrà mai sconfiggerlo. Una soluzione potrebbe essere questa: fare in modo che egli stesso scelga di abbandonare questa vita."
A Krishna l'idea parve buona. Così i cinque Pandava e il Signore, protetti dal buio della notte, si recarono nella tenda dell'anziano e gli offrirono i loro rispettosi omaggi. Contento di poterli rivedere in una circostanza che non fosse il polveroso campo di battaglia, Bhishma sorrise a tutti.
"Cosa posso fare per voi?" chiese.
"Finchè tu sei sul campo di battaglia noi non abbiamo nessuna possibilità di vincere la guerra," rispose Yudhisthira, "e d'altra parte non è destino che Duryodhana trionfi. In questo frangente cosa possiamo fare?"
"E' vero: finchè io vivrò, non potrete battere i Kurava. Quindi dovrete uccidermi."
"Ma noi ti amiamo e ti rispettiamo come un padre, e nessuno se la sentirebbe di affrontarti con lo scopo di darti la morte. Non esiste qualche altra soluzione?"
"No, non ce ne sono altre," rispose Bhishma, "dovete farlo; ma non dispiacetevi troppo perchè io ho vissuto su questa Terra a lungo e mi sento tremendamente stanco. Da tempo desidero soltanto ritornare nel mio mondo di provenienza. Inoltre il soggiorno qui, alla corte dei Kurava, mi è diventato intollerabile, specialmente per colpa di Duryodhana, il quale ha rigettato del tutto il senso della virtù. Dunque fatelo senza rattristarvi; in realtà mi renderete felice."
"Sarà Arjuna a dovermi togliere la vita. In questo mondo infatti ci sono solo due persone capaci di sconfiggermi: uno è Krishna, l'altro è Arjuna. Domani portate Shikhandi sul fronte e fatevi scudo di lui. Io non combatterò perchè, come si sa, è nato donna e anche perchè è giusto che Amba abbia la sua vendetta; dalle sue spalle scagliate contro il mio corpo migliaia di frecce e in questo modo risulterete vittoriosi."
E ancora una volta Bhishma raccontò la tragica storia di Amba; poi i Pandava tornarono al loro accampamento.
Quella notte Krishna ebbe il suo da fare a convincere Arjuna che l'indomani avrebbe dovuto uccidere Bhishma.
100: Il decimo giorno
All'alba del decimo giorno, Bhishma si alzò d'umore lieto: non sarebbero passati molti giorni e lui, dopo così lungo tempo, sarebbe ritornato al suo pianeta celestiale, dalla sua compagna e dai suoi fratelli. Era talmente sereno e felice che tutti lo notarono.
Lo stato d'animo di Arjuna era ben diverso: pensava che era terribile ciò che avrebbe dovuto fare tra breve.
L'attacco alle armate Kurava sarebbe stato condotto fin dalle prime ore dal valoroso guerriero Shikhandi, spada in pugno, pronto in qualsiasi momento a scagliarsi contro l'odiato anziano della casata rivale. Subito dietro di lui c'erano Arjuna e Bhima. Seguivano Abhimanyu e i figli di Draupadi, e poi Satyaki, Drishtadyumna, Yudhisthira e i gemelli Pandava. Il resto dell'armata, guidata da Virata e Drupada, era leggermente più indietro. Da quella disposizione tutti poterono capire che lo scopo prefisso per quella giornata era di porre fine alla vita di Bhishma.
Dall'altra parte, come sempre, Bhishma era in prima linea, seguito da Drona, Asvatthama, Bhagadatta, Kritavarma, Kripa e tutti gli altri, ognuno dei quali era scortato dal rispettivo esercito. Il suono dei corni annunciò l'inizio delle ostilità.
Quella mattina si notò subito che Nakula e Satyaki erano particolarmente ispirati nel combattimento. Nè Bhishma fu da meno; anzi, sembrò suscitare l'ammirazione generale ancora più del solito. Tuttavia chi lo conosceva bene notò distintamente in lui qualcosa di anomalo: la sua espressione non era la solita, era più sereno, sembrava addirittura felice.
Shikhandi lo assalì subito, ma egli per l'ennesima volta si rifiutò di accettare la sfida, affermando che mai avrebbe combattuto contro una donna. Di nuovo umiliato, Shikhandi sfogò la sua furia contro lo stesso Bhishma. Lo colpì ripetutamente senza però riuscire a ottenere alcuna reazione. In quel frangente giunse Arjuna.
"Continua a colpirlo anche se si rifiuta di combattere," gli gridò nel clamore della battaglia. "Non lo lasciare un istante."
In quel momento molti grandi guerrieri accorsero per proteggere Bhishma dal figlio di Drupada; ma Arjuna li respinse tutti. Fin dalle prime ore di quella giornata, quando avevano visto Shikhandi in prima linea, tutti avevano capito le intenzioni dei Pandava; e ora quell'incredibile affannarsi attorno a Bhishma non faceva altro che confermare a Duryodhana il fatto che il loro comandante stava correndo un grosso pericolo. Il Kurava riuscì a raggiungerlo.
"Arjuna sta bruciando la nostra armata al pari di un immenso fuoco," gli gridò, "e anche suo figlio Abhimanyu e Bhima ci stanno facendo soffrire terribilmente. Tu sei la nostra sola speranza: proteggici."
"Fin dall'inizio ti avevo detto che non avrei ucciso i figli di Pandu," gli rispose questi con tono duro, "e ti avevo promesso che ogni giorno avrei eliminato diecimila dei tuoi nemici. Oggi ho quasi completato il numero; il mio debito verso di te è pagato. Ma ormai sono stanco di uccidere, non voglio più macchiarmi di altro sangue innocente solo per soddisfare i tuoi capricci. Per di più i Pandava non possono essere uccisi neanche dai deva. Oggi stesso io cadrò sul terreno ferito a morte, e spero proprio che almeno questo ti faccia tornare il buon senso."
Con nessuna voglia di discutere ulteriormente, Bhishma tornò a concentrarsi sui combattimenti.
Nel frattempo, per tutto il campo infuriavano grandi duelli diretti, come quello fra Arjuna e Dusshasana, fra Bhima e Bhurishrava, fra Alambusha e Satyaki, e tanti altri. Nella lotta ingaggiata tra Alambusha e Satyaki, Bhagadatta dovette intervenire per salvare la vita al rakshasa, che era stato messo in seria difficoltà dal Vrishni. E sempre intorno a quel duello, si levò un grande clamore quando Duryodhana mandò altri generali ad aiutare Bhagadatta. Ma Satyaki, che era amico intimo di Krishna e il discepolo preferito di Arjuna, non tremò un solo istante e continuò a seminare il terrore e la morte. Più in là Sahadeva infliggeva una brutta sconfitta all'acarya Kripa.
Intanto Asvatthama e Drona si erano fermati; tremendi presagi li avevano messi in guardia: qualcosa di infinitamente spiacevole stava per accadere. Quella combinazione di Arjuna, Bhima e Shikhandi in testa alla formazione non faceva prevedere niente di buono. Non ci volle un grande sforzo per capire quali fossero i loro propositi. Subito Asvatthama si affiancò a Bhishma nel tentativo di proteggerlo.
101: La caduta di Bhishma
Mentre centinaia di uomini, molti dei quali conosceva di persona, continuavano a cadere per mano sua, d'un tratto il più anziano dei guerrieri fu assalito da un profondo disgusto verso la guerra, verso il suo stesso valore, verso quella crudeltà che lo spingeva a massacrare soldati che davanti a lui erano come bambini inermi. Si avvicinò a Yudhisthira.
"Desidero smettere di combattere, ora. Fate come vi ho detto ieri notte."
Allora Shikhandi gli si mise di fronte e lo bersagliò con frecce, lance e asce. Era quello il momento più delicato, Arjuna lo sapeva. I Kurava avrebbero fatto di tutto pur di non permettere la caduta di Bhishma. Dovette combattere come mai aveva fatto in precedenza per creare il vuoto attorno a quel carro d'argento. E ci riuscì.
"Questo è il momento," gli disse Krishna, "poniti dietro Shikhandi e trafiggi Bhishma con quante più frecce puoi."
E mentre gli altri Pandava, Satyaki e Abhimanyu facevano muro per impedire a chiunque di venire a soccorrerlo, Arjuna e Shikhandi lo assalirono con violenza. L'anziano ripensò a tutta la sua vita: una profonda mestizia lo prese al pensiero dello stato di degradazione in cui si era ridotta la sua nobile dinastia, a causa di quella guerra fraticida. Krishna lesse tutto questo sul suo viso e gridò ad Arjuna:
"Ora Bhishma vuole veramente concludere la sua partecipazione a questa guerra."
Fiumi di frecce volarono dagli archi di Arjuna e di Shikhandi, e tutte colpirono il venerabile Kurava trapassandolo da una parte all'altra del corpo. E mano a mano che le frecce cadevano su di lui, Bhishma parlando a voce alta in modo che Dusshasana, che intanto era accorso, potesse sentire, disse:
"Queste sono di Arjuna, e queste sono di Shikhandi. Vedi, quelle di Arjuna penetrano più profondamente e bruciano, mentre quelle di Shikhandi si sentono appena."
Ma nonostante le frecce continuassero a piovergli addosso, questi ancora volle tentare di combattere.
Tutti guardavano l'incredibile scena: trapassato da centinaia di frecce, Bhishma scese dal carro e lanciò un giavellotto che Arjuna spezzò in tre parti nel momento in cui se lo vide guizzare contro. Quando anche quell'arma fallì, le grida si placarono: i duelli si interruppero e tutti i soldati restarono con le armi ferme in mano, desiderosi soltanto di vedere Bhishma sommerso dal fiume di armi che cadevano su di lui. Allora il silenzio si fece totale; era un silenzio carico di costernazione e di dolore. Nell'aria si vedeva e si sentiva solo il guizzo delle frecce del Pandava e del figlio di Drupada. Il sole al suo calare inondò con i suoi raggi soffusi il grande Bhishma che cadeva sul terreno, senza toccarlo: le frecce che lo avevano trafitto lo facevano restare a mezz'aria.
Nessuno si muoveva, nessuno proferiva parole, sembrava una finzione scenica. Poi si udì una voce eterea provenire dal cielo.
"Mahatma Bhishma non è ancora morto, nè morirà fino a uttarayana. Egli ha deciso di rimanere in quella posizione fino a quel giorno, quando offrirà a tutti i suoi insegnamenti di anima realizzata."
Quando la dea Ganga seppe del figlio, mandò i sette grandi saggi nelle sembianze di cigni a porgergli i suoi saluti. Poi essi tornarono e le riferirono le ultime decisioni di Bhishma.
In tutta Kurukshetra non si combatteva più: la caduta dell'anziano eroe aveva paralizzato chiunque.
I figli di Dritarashtra erano pietrificati e piangevano come bambini spauriti; alcuni persero addirittura i sensi per il dolore. Dimentichi per un attimo della loro aspra inimicizia, tutti, Pandava e Kurava, si riunirono intorno a quella grande personalità. Alla visione di quel corpo martoriato e trafitto da mille frecce che gli impedivano di toccare il terreno, tutti maledissero la loro professione di kshatriya.
Duryodhana era il più disperato.
Drona, che in quel momento stava combattendo su un fronte lontano, apprese la notizia da Dusshasana e per il dolore svenne. Anche se aveva sempre saputo che prima o poi sarebbe dovuto accadere, la cosa gli sembrò ugualmente così inverosimile che stentava ancora a crederci.
Sull'istante dette l'ordine di cessare ogni combattimento. Tolti i sandali e le corazze e gettate via le armi, furono milioni i soldati che disciplinatamente sfilarono davanti a Bhishma, il quale salutò tutti con affetto e amicizia, dando loro consigli e istruzioni.
"La mia testa pende in giù," disse a un certo punto, "e non riesco a vedervi bene. Per favore, portatemi dei cuscini."
Impetuosamente Duryodhana ordinò che venissero portati i cuscini fatti con le stoffe più pregiate; ma quando questi gli furono offerti, Bhishma li rifiutò.
"Questi guanciali non sono degni di un vero kshatriya. Non poggerò la testa dove siedono le persone che amano le comodità di questo mondo. Voglio ben altro, io."
A quelle parole i presenti rimasero interdetti; non capivano che tipo di cuscino desiderasse. Notando l'imbarazzo generale, Bhishma si rivolse ad Arjuna.
"Loro sono guerrieri e non sanno che tipo di cuscino dovrebbero usare. Faglielo vedere tu, allora."
Prontamente, davanti ai soldati stupefatti, il Pandava scagliò delle frecce sotto la testa del nonno, in modo che potesse poggiarla sulle estremità delle asticelle. L'anziano sorrise.
"Avete visto? Sembra che solo Arjuna sappia quali sono i guanciali che usano gli kshatriya."
Nel frattempo erano arrivati i dottori che Duryodhana aveva convocato in tutta fretta, ma Bhishma disse loro:
"Vi ringrazio per essere arrivati fin qui, ma io non desidero essere curato. Quando uttarayana arriverà, abbandonerò questo corpo che ho usato per fin troppo tempo e tornerò sul pianeta da cui provengo."
Dopo avergli rivolto i propri saluti, i soldati si ritirarono nelle proprie tende. Solo pochi intimi gli rimasero vicino.
Bhishma, a voce bassa, disse:
"Ho sete; per favore, portatemi dell'acqua."
Duryodhana fece portare dell'ottima acqua dolce, ma Bhishma rifiutò anche quella.
"Non è questa l'acqua che voglio. Forse Arjuna sa quello che desidero in questo momento della mia vita."
Con un cenno del capo il Pandava assentì tristemente. E ancora una volta scagliò una freccia vicino al suo capo con tanta potenza che essa perforò il terreno fino ad arrivare al Gange: in pochi secondi uno zampillo d'acqua spuntò dal terreno, permettendo al valoroso guerriero di bere. Grazie ad Arjuna, Ganga in persona era venuta per dissetare il figlio. A quel punto Bhishma guardò il re dei Kurava forte intensità e serietà.
"Duryodhana, vedi cosa può fare Arjuna? Lui e Krishna sono i saggi Nara e Narayana reincarnati. Non puoi vincerli. Fa in modo che la mia morte serva a fermare questa inutile guerra e fai pace con loro. I Pandava sono pii e non rifiuteranno la tregua, anzi la accetteranno con gioia."
Duryodhana non rispose. Non lo guardava neanche più negli occhi, ma osservava con aria mesta il terreno. Quella reazione non sorprese Bhishma; sapeva bene che le sue parole non avrebbero avuto effetto neppure in quel frangente. Chiese allora di rimanere solo; tutti si ritirarono.
Il saggio si chiuse in sè, e cominciò la sua meditazione sulla Verità Assoluta Personale, cosicchè presto dimenticò le miserie di questo mondo. Quando Karna venne a sapere dall'amico Duryodhana della caduta di Bhishma, decise di andare a trovarlo; e quando arrivò, accanto a lui non c'era più nessuno. Si sedette al suo fianco e pianse.
"Io ti ho sempre trattato duramente non perchè ce l'avessi veramente con te," gli sussurrò Bhishma, "ma perchè non potevo fare altrimenti. Odiavi così tanto i Pandava che per il loro bene era necessario diminuire la tua energia mentale; in quel modo intendevo proteggere i Pandava dal tuo valore. Del resto, anche tu eri un mio nipote, per cui non avrei mai potuto detestarti veramente."
Karna era stupito. Anche Bhishma era al corrente del mistero della sua nascita e non gli aveva mai detto niente.
"E' stato Vyasa a rivelarmi il segreto," continuò l'anziano quasi avesse letto nei suoi pensieri, "ma non potevo dirtelo perchè dietro a tutto ciò che è accaduto c'è un preciso piano divino che non potevo danneggiare. Questo mondo è stato sovraccaricato di forze demoniache e deve essere liberato. Noi tutti siamo stati solo degli strumenti nelle mani di un onnipotente volere celestiale."
I due conversarono a lungo.
Poi Karna chiese al venerabile Bhishma di benedirlo, in quanto il giorno seguente sarebbe dovuto scendere sul campo di battaglia. E il virtuoso figlio di Surya, con il cuore pesante, tornò alla sua tenda.
I suoi sogni furono torturati da mille pensieri desolati.